Da qui in avanti l'attività dell'attore sarà sempre dedicata al cinema comico formando con la propria fisicità l'identikit del protagonista: fisicamente tozzo e sgraziato, con i capelli color topo e la pelle giallo sabbia, il Villaggio-Fantozzi si presenta sullo schermo sempre in maniera improbabile, con giacca da ragioniere, pantaloni ascellari e sulla testa il simbolico e caratteristico basco[58]. Nasce così una nuova maschera, l'ultima, dopo quella di Totò, ad attingere le proprie radici nella commedia dell'arte[8][59] e in cui si possono sentire molte influenze letterarie (la lezione russa di Gogol' e Čechov) e cinematografiche (il delirio sadomaso dei cartoon, la scuola di Tex Avery e le varie invenzioni surreali di Frank Tashlin).[8] Sul versante nazionale sono certamente da citare come antesignani del personaggio gli scritti di Italo Calvino e Luciano Bianciardi, ossia i rispettivi: Marcovaldo, ovvero Le stagioni in città, e La vita agra.[60] Da non tralasciare il romanzo ottocentesco Le miserie 'd Monsù Travet, di Vittorio Bersezio, portato sullo schermo dal regista e scrittore Mario Soldati.[60] Viene alla luce, in tal modo, un preciso soggetto filmico pensato come sintesi di stili differenti, dove comicità di linguaggio (tipica del costume italico) e slapstick comedy (tipica del muto) si fondono in maniera reciproca e costante.[8]
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